16/10/2023 di Guido Martinelli
Il D.Lgs. 36/2021 differenzia i soggetti che prestano attività in favore di un ente sportivo, tra coloro i quali svolgono “attività sportiva verso un corrispettivo” e coloro che, invece, “mettono a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere lo sport, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ma esclusivamente con finalità amatoriali”. Questi ultimi vengono definiti volontari, mutuando la disciplina da quella contenuta all’articolo 17, D.Lgs. 117/2017 (c.d. codice del terzo settore).
La caratteristica che accomuna i predetti lavoratori è che il loro interesse non ha presupposti di carattere economico, ma esclusivamente “affectionis vel benevolentiae causa”.
Sulla falsariga di quanto già previsto per i volontari degli Ets, il D.Lgs. 120/2023 (c.d. decreto correttivo bis) ha introdotto, all’articolo 29, D.Lgs. 36/2021, la possibilità di rimborsare al volontario spese autocertificate (e pertanto prive di un proprio giustificativo) sino ad un importo di 150 euro mensili, purché l’organo sociale competente deliberi sulle tipologie di spese e sulle attività di volontariato, per le quali è ammessa questa modalità di rimborso.
Appare necessario chiarire che questi 150 euro sono solo un limite dei rimborsi autocertificati, ma possono essere cumulati con altri ulteriori rimborsi documentati di costi sostenuti in nome e per conto della associazione. Ovviamente sono un massimo e, pertanto, se i costi autocertificati fossero superiori a tale cifra, l’importo massimo da riconoscere sarà sempre 150 euro, mentre se fossero inferiori, potrà essere rimborsata solo la cifra indicata.
I volontari debbono occuparsi delle attività istituzionali delle sportive, ivi compresa la formazione, la didattica e la preparazione degli atleti. A questo proposito, ha fatto molto discutere la previsione che al volontario possano essere rimborsate “esclusivamente” le spese di trasferta fuori dal proprio comune di residenza. In realtà, questo era già previsto dall’articolo 69, comma 2, Tuir, anche prima che entrasse in vigore il D.Lgs. 36/2021. Stando alla nuova normativa, solo il trasferimento da un comune all’altro consente di poter verificare in maniera oggettiva la distanza percorsa. Questo non significa che non possa essere riconosciuto un rimborso per il trasferimento nello stesso comune, ma soltanto che, al ricorrere di tale fattispecie, il rimborso costituirà una forma di compenso e farà uscire il percettore dalla fattispecie dei volontari. Così come potranno essere riconosciuti rimborsi di altro genere, per spese anticipate e idoneamente documentate, diverse da quelle di viaggio, vitto e alloggio.
Inoltre, è ammessa la possibilità che il volontario atleta o tecnico possa percepire i premi, secondo quanto previsto dall’articolo 36, comma 6 quater, D.Lgs. 36/2021.
Il comma 3, dell’articolo 29, D.Lgs. 36/2021, prevede, invece, che le prestazioni del volontario siano “incompatibili con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo … con l’ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività sportiva”.
Va chiarito che questa norma non impedisce al lavoratore sportivo di un sodalizio di collaborare, in maniera disinteressata, se ed in quanto disponibile, in maniera episodica all’attività sportiva del proprio committente, anche per prestazioni diverse da quelle indicate nel proprio contratto di lavoro. Sarebbe illogico e, comunque, la norma, per come indicata, non prevede una sanzione in caso di “inadempimento” a questa incompatibilità.
Così come, si ritiene possa essere conciliabile con la previsione normativa, l’eventuale “elezione” del lavoratore sportivo (non subordinato) nell’organo amministrativo in modo, comunque, che non si possa costituire una forma di “controllo” sull’attività svolta.
Diventa necessario arrivare, quindi, a quello che si ritiene essere la ratio della norma.
L’obiettivo, ad avviso dello scrivente, non è quello di evitare che il lavoratore sportivo svolga una attività “ulteriore” gratuitamente, rispetto a quella oggetto del rapporto di lavoro, quanto quello di evitare che, mansioni diverse da quelle di lavoro sportivo, possano essere “retribuite” con le facilitazioni tassativamente ed esclusivamente previste per le fattispecie tipizzate dal legislatore. Questo diventa, in caso di controversia, l’onere da provare, ossia che la prestazione gratuita e disinteressata, lo fosse veramente e non venisse, in realtà, retribuita fittiziamente con la disciplina del lavoro sportivo. Quindi, il compenso dovrà essere congruo e commisurato all’attività effettivamente svolta ed in linea con quello riconosciuto ad altri lavoratori con mansioni similari. In questo caso, ma solo in questo, si ritiene che possa essere compatibile un’attività di lavoro sportivo per il medesimo committente. Si pensi, ad esempio, al lavoro che fanno gli arbitri, gratuitamente, presso le strutture territoriali delle organizzazioni affilianti. Illogico pensare di considerarlo contra legem.
A maggior ragione, il problema si pone in quei casi, frequenti nello sport, in cui la governance della associazione è formata da elementi legati da rapporti di parentela o di coniugio. In questo caso, il rischio che ci si trovi di fronte alla incompatibilità è molto alto.
Rimane un ultimo aspetto da considerare, ovverosia la posizione del socio “non amministratore” di una ssd. Può fare un contratto di lavoro sportivo come istruttore con la sportiva di cui è socio, magari di controllo?
Anche qui diventa basilare poter dimostrare che:
28/09/2023 di Guido Martinelli
L’articolo 5, L. 86/2019 (Legge delega della riforma sportiva), nel delineare la nuova figura del lavoratore sportivo precisa che la disciplina relativa dovrà garantire: “l’osservanza dei principi di parità di trattamento e di non discriminazione nel lavoro sportivo, sia nel settore dilettantistico sia nel settore professionistico e di assicurare la stabilità e la sostenibilità del sistema dello sport”.
Successivamente introduce il concetto della “specificità” del lavoro sportivo. (…c) Individuazione … nell’ambito della specificità di cui alla lettera b) del presente comma della figura del lavoratore sportivo ivi compresa la figura del direttore di gara senza alcuna distinzione di genere indipendentemente dalla natura dilettantistica o professionistica dell’attività sportiva svolta …»)
Questo conduce ad una prima riflessione: il rapporto di lavoro sportivo ha i medesimi contenuti giuridici sia se svolto in forma dilettantistica che in forma professionistica.
Detto concetto viene anche ripreso dall’articolo 25, D.Lgs. 36/2021 che, al comma uno bis, recita: «…La disciplina del lavoro sportivo è posta a tutela della dignità dei lavoratori nel rispetto del principio di specificità dello sport…»
Ma cosa si deve intendere per specificità dello sport?
La circostanza che il comma 2 del medesimo articolo riporta che il lavoro sportivo può costituire oggetto di un rapporto di lavoro subordinato (o di un rapporto di lavoro autonomo) porta ad escludere la tesi interpretativa esposta nella circolare n. 1/2016 dell’Ispettorato nazionale del lavoro, secondo la quale “… la volontà del legislatore … è stata certamente quella di riservare ai rapporti di collaborazione sportivo-dilettantistici una normativa speciale volta a favorire e ad agevolare la pratica dello sport dilettantistico rimarcando la specificità di tale settore che contempla anche un trattamento differenziato rispetto alla disciplina generale che regola i rapporti di lavoro …”.
La scelta di non condividere il parere dell’Ispettorato nazionale del lavoro ha portato, come sua logica conseguenza, l’abrogazione, a far data dallo scorso 30.6.2023, della parte dell’articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir, relativa ai compensi sportivi.
Per potere rispondere alla domanda dobbiamo considerare un altro aspetto. Chi opera nello sport a titolo oneroso lo fa, spesso e volentieri, “anche” per passione. Quindi la componente sinallagmatica del rapporto di lavoro è parzialmente coperta dal piacere che lo stesso lavoratore riceve nello svolgimento della prestazione sportiva. Questo lo induce ad accettare determinati rischi (il c.d. rischio consentito che si assumono gli sportivi che svolgono, ad esempio, sport qualificabili come attività pericolosa) o l’accettazione di una eterodirezione da parte, ad esempio, dell’allenatore o del maestro, che ha presupposti diversi di quella in essere tra il titolare di una azienda e i suoi dipendenti.
Questo ha portato il legislatore a fissare, per l’atleta professionista, delle presunzioni di lavoro subordinato e, al contrario, per l’atleta dilettante, delle presunzioni di rapporto di collaborazione coordinata e continuativa (che definiscono il profilo strettamente giuslavoristico), a cui si aggiungono anche determinate agevolazioni fiscali e contributive, per garantire il principio legislativamente previsto della sostenibilità.
Quindi perché vi sia lavoro sportivo occorre che sia svolto nell’ambito dell’ordinamento sportivo. Ciò significa che i lavoratori sportivi, tutti, dovranno essere soggetti di questo ordinamento (e lo si diventa con il tesseramento) e altrettanto lo dovranno essere i committenti (altri tesserati o soggetti riconosciuti dall’ordinamento sportivo quali Asd, Ssd, federazioni ed enti di promozione sportiva, Coni, Cip e sport e salute). La prestazione dovrà, inoltre, essere di carattere “infungibile”, ossia esclusivamente di prestazione sportiva riconosciuta come tale.
Ne deriva che altre prestazioni collegate con il mondo dello sport (ad esempio, in ordine sparso, medici, fisioterapisti, custodi, manutentori, magazzinieri, cassiere, addetti al marketing o alla comunicazione) non potranno mai essere lavoratori sportivi, in quanto la medesima loro prestazione potrebbe liberamente essere svolta in realtà non sportive e per le quali, pertanto, non appare possibile presumere la componente “passione”.
Questo non significa che per queste mansioni non possa essere riconosciuto un compenso: significa solo che per inquadrare questo rapporto non si potrà fare riferimento alla “specificità” dello sport, ma esclusivamente alla disciplina generale del codice civile.
Si continua a leggere, anche da parte di autorevole dottrina, che per il mondo dilettantistico sarebbe stato preferibile fare una scelta univoca sotto il profilo dell’inquadramento lavoristico.
Con ciò dimenticando un principio fondamentale legato alla indisponibilità del rapporto di lavoro, così come affermato dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza 29973/2022, ha affermato che:
“.. al legislatore è precluso il potere di qualificare un rapporto di lavoro in termini dissonanti rispetto alla sua effettiva natura e di sottrarlo così allo statuto protettivo che alla subordinazione si accompagna (Corte costituzionale sentenza n. 76/2015, sentenza n. 115/ 1994 e sentenza n. 121/ 1993). Ne deriva, quale conseguenza ineludibile “l’indisponibilità del tipo negoziale sia da parte del legislatore, sia da parte dei contraenti individuali” (Cassazione n. 76/2015 cit. punto 8 del considerato in diritto), la cui mancata applicazione avrebbe comportato un grave vizio di incostituzionalità nella norma.
08/09/2023 di Guido Martinelli
Nello scorso mese di agosto, in maniera anche inaspettata, è stato approvato l’articolo 36 bis L. 112/2023, (conversione D.L. 75/2023) recante la nuova disciplina per le prestazioni di servizi connessi con la pratica sportiva, in vigore dallo scorso 17.08.2023.
Il comma 1, in particolare, prevede l’esenzione Iva per le prestazioni di servizi strettamente connessi con la pratica dello sport, compresi quelli didattici e formativi, rese nei confronti di persone che esercitano lo sport o l’educazione fisica da parte di organismi senza fine di lucro, compresi gli enti sportivi dilettantistici, di cui all’articolo 6 D.Lgs. 36/2021.
Il secondo comma, invece, recita: “Le prestazioni dei servizi didattici e formativi di cui al comma 1, rese prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, si intendono comprese nell’ambito di applicazione dell’articolo 10, primo comma, numero 20), D.P.R. 633/1972.” Fornendo, con effetto retroattivo, una interpretazione autentica della disciplina Iva delle attività didattiche e formative nello sport.
Da sottolineare che manca qualsiasi collegamento con la nuova disciplina Iva prevista per tutti gli enti associativi senza scopo di lucro di cui viene prevista l’entrata in vigore a far data dal prossimo primo luglio (articolo 5, comma 15 quater, D.L. 146/2021) in osservanza della procedura di infrazione comunitaria in essere.
Sotto il profilo soggettivo amplia i soggetti che possono svolgere attività sportiva “esente” ricomprendendo tutti gli enti senza scopo di lucro, anche se non iscritti al registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche.
Il riferimento generico, poi, agli enti sportivi dilettantistici di cui al citato articolo 6 D.Lgs. 36/2021 porta a ritenere che anche le società sportive che introducessero la parziale distribuzione degli utili previsti dal successivo articolo 8, comma 3 potranno applicare la disciplina in esame.
Altra novità importante, recepita dalla direttiva comunitaria, è che le persone acquirenti i servizi sportivi non debbono avere caratteristiche predeterminate.
Non sarà, pertanto, necessario ai fini del godimento di questa agevolazione, limitare l’erogazione dei servizi solo agli associati o ai tesserati.
Identificato così il requisito soggettivo, sotto il profilo oggettivo la norma non fa riferimento alla attività sportiva dilettantistica ma si limita a ricomprendere nell’area della esenzione da Iva “lo sport e l’educazione fisica”.
Questo porta a ritenere che la novella trova applicazione non solo nei confronti delle discipline sportive riconosciute dal Conima anche nei confronti di tutta quella che, forse più correttamente, alla luce della definizione indicata dall’articolo 2 D.Lgs. 36/2021 è da intendersi come attività motoria. È ovvio, però, che nei casi di servizi di discipline “non Coni” non saranno applicabili le norme sul lavoro sportivo recentemente introdotte.
La scelta operata dal legislatore prevede alcuni aspetti per i quali diventa urgente un intervento chiarificatore da parte della Agenzia delle entrate.
Infatti, il passaggio da attività posta fuori campo Iva (la gran parte delle asd. e ssd. che offrono servizi sportivi lo fanno esclusivamente nei confronti di associati o tesserati) ad attività esente da Iva comporta conseguenze formali (l’apertura della posizione Iva e gli adempimenti conseguenti allo svolgimento di attività soggette a detta imposta) ma anche potenzialmente sostanziali.
Infatti, fino ad oggi, ai fini Ires le associazioni sportive hanno applicato l’articolo 148, comma 3, Tuir, che qualifica le operazioni svolte in favore di associati o tesserati in conformità alle finalità istituzionali “non commerciali”.
Questa qualificazione, però, da parte di tutta la giurisprudenza più recente (Cassazione n. 21707/2023) non è interpretata in maniera oggettiva ma soggettiva, ossia legata “all’effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro”.
Ne consegue che aver fatto rientrare nel campo di applicazione dell’Iva i servizi sportivi, sia pure esenti, (e quindi commerciali) potrà continuare a far qualificare i medesimi servizi come “non commerciali” (ovviamente sussistendone i presupposti di attività di discipline Coni svolte in favore di associati o tesserati) ai fini delle imposte sui redditi?
Analogamente, si pone un ulteriore problema: la norma in esame non abroga il vigente articolo 4, comma 4, D.P.R. 633/1972, contrariamente a quanto invece accadrà dal prossimo primo luglio.
La domanda che ci si pone è: potranno le associazioni sportive che intendessero continuare a erogare servizi sportivi solo ad associati e tesseratiritenere che non siano tenuti ad applicare la nuova disciplina e continuare ad applicare, almeno fino al 30 giugno, la fattispecie di attività posta fuori campo Iva?
Il rischio che si pone è che in questo caso avremmo sui servizi sportivi tre diversi regimi Iva:
Il passaggio dei servizi sportivi da prestazioni poste fuori campo a prestazioni esenti nasce da una procedura di infrazione europea.
Le direttive unionali parlano appunto di prestazione esente. Fino al 16.8.2023 scorso si poteva sostenere che l’Italia riteneva di non conformarsi a tale indicazione ma ora, in presenza di una norma interna come quella in commento, si potrà ancora usare una agevolazione contraria alle direttive unionali e, oggi, anche ad una norma di Legge dello Stato? Chi risponde affermativamente lo motiva sulla presunta natura di norma speciale dell’articolo 4, D.P.R. 633/1972, oggi vigente.
Personalmente vedo sotto il profilo giuridico opinabile che ci possa essere una norma speciale contenuta in un decreto che possa continuare a disciplinare una fattispecie inquadrata da una norma di carattere generale introdotta dopo 50 anni da una legge dello Stato e nel rispetto della disciplina europea.
Sicuramente l’incertezza della disciplina applicabile è un dato oggettivo, pertanto, trattandosi di adempimenti formali, le conseguenze sanzionatorie sarebbero minime: è auspicabile un chiarimento amministrativo.
08/09/2023 di Guido Martinelli
Con la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale (G.U. n. 206 del 4 settembre 2023) del D.Lgs. 120/2023 che contiene disposizioni integrative e correttive dei Decreti Legislativi del 28 febbraio 2021 nn. 36, 37, 38, 39 e 40 appare definita la nuova disciplina della c.d. riforma dello sport (anche se si resta in attesa dei numerosi decreti attuativi previsti).
Il primo articolo contiene le modifiche al D.Lgs. 36/2021, quello sulla natura degli enti sportivi, dilettantistici e professionistici e sul lavoro sportivo.
Il primo comma perfeziona alcune definizioni contenute nell’articolo 2 del decreto originale.
Il secondo comma chiarisce un punto fondamentale. Gli enti del terzo settore che intendessero svolgere come attività di interesse generale quella sportiva dilettantistica non saranno tenuti ad inserire nella denominazione sociale tale finalità.
Il terzo comma precisa che le associazioni e società sportive dilettantistiche già iscritte al registro avranno tempo fino al 31 dicembre 2023 per adottare le eventuali modifiche statutarie resesi necessarie dalle nuove disposizioni della riforma. La mancata conformità ai criteri statutari previsti dalla norma impedisce l’iscrizione al registro e, scaduto il termine sopra indicato, comporterà la cancellazione dal registro per quelle sportive che non avessero provveduto all’adeguamento. Ai sensi di quanto previsto dal sesto comma le modifiche strettamente necessarie all’adeguamento dello statuto saranno esentate da imposta di registro. L’assemblea che le dovrà approvare dovrà, però, essere quella straordinaria e con i quorum costitutivi e deliberativi a tal fine previsti dallo statuto vigente.
In analogia con quanto già previsto per gli enti del terzo settore viene previsto che le sedi (da intendersi “sportive”) delle asd e ssd in cui si svolgono le attività statutarie possono prescindere dalla destinazione urbanistica dell’immobile.
Il quarto comma prevede che il mancato rispetto per due esercizi consecutivi dei criteri di ripartizione dei ricavi tra quelli conformi alle finalità istituzionali e quelli secondari e strumentali (il riferimento è ad un decreto che ne dovrebbe determinare le percentuali, purtroppo ad oggi non ancora pubblicato) comporta la cancellazione d’ufficio dal registro delle attività sportive.
Viene, poi, agevolata la possibilità per gli appartenenti ai corpi civili e militari dello Stato di fare attività lavorativa retribuita nell’ambito dello sport dilettantistico.
Successivamente il decreto interviene sulla disciplina prevista per l’utilizzo di animali nello sport introducendo ulteriori norme a tutela della loro sicurezza durante le attività agonistiche.
Il comma 17 e successivi intervengono sulla disciplina del nuovo rapporto di lavoro sportivo.
Si chiarisce che anche il rapporto di lavoro oneroso tra un tesserato ad un organismo affiliante (ad esempio atleta che ingaggi a sue spese un allenatore) rientra nel campo di applicazione del lavoro sportivo.
Viene chiarito che le mansioni dei lavoratori sportivi non tipizzati si potranno ricavare solo dalla lettura dei regolamenti tecnici delle varie discipline sportive riconosciute (pertanto nessuno spazio sembra esserci per figure come gli addetti stampa, marketing o comunicazione o per i dirigenti associativi) e dovranno essere individuati con decreto del Ministro per lo sport.
Gli enti sportivi si potranno avvalere di prestazioni d’opera occasionali.
L’autorizzazione per i dipendenti pubblici allo svolgimento di lavori sportivi dilettantistici potrà essere riconosciuta anche con la forma del silenzio assenso. Non saranno tenuti all’autorizzazione gli appartenenti ai corpi civili e militari dello Stato distaccati presso gli enti sportivi affilianti.
Confermato l’aumento a 24 ore settimanali dell’ammontare dell’impegno al di sotto del quale la prestazione lavorativa si presume di collaborazione coordinata e continuativa.
Gli adempimenti e i versamenti dei contributi previdenziali dovuti per lavoro sportivo inquadrato come collaborazione coordinata e continuativa relativi ai periodi luglio – settembre 2023 potranno aver luogo entro il 31 ottobre di quest’anno.
Si conferma che ai lavoratori sportivi che conseguono proventi inferiori ai 5.000,00 euro si applicano, ai fini della sicurezza, le norme previste per i lavoratori autonomi.
Alle collaborazioni coordinate e continuative sportive dilettantistiche non si applica il premio Inail.
È stato stanziato un contributo in favore delle società e associazioni sportive dilettantistiche che hanno “conseguito ricavi di qualsiasi natura non superiori a euro 100.000” a fronte dei versamenti previdenziali cui sono state tenute relativi ai compensi del periodo luglio / novembre 2023. Il contributo è subordinato alla disciplina degli aiuti di Stato e sarà erogato con modalità che saranno stabilite con apposito decreto.
Il contributo non costituirà reddito per l’ente sportivo che lo avrà percepito e non inciderà sul rapporto tra attività principale e attività secondarie e strumentali.
Non si possono nascondere le perplessità sul “come”, in special modo per le associazioni non tenute alla approvazione di un bilancio secondo i criteri previsti dal codice civile, sarà possibile verificare la sussistenza dei requisiti indicati nella norma.
Gli importi inferiori agli 85.000 euro per percettore non saranno gravati da Irap.
Non potranno rientrare nella fattispecie delle collaborazioni amministrativo – gestionali quelle poste in essere da soggetti che svolgono tale attività iscritti ad albi professionali.
Viene istituito un osservatorio nazionale sul lavoro sportivo che valuterà le problematiche che deriveranno dalla entrata in vigore della riforma.
Importante intervento di modifica viene attuato al decreto n. 38 in materia di realizzazione e gestione di nuovi impianti sportivi.
Il dipartimento potrà iscrivere al Registro anche enti che praticano discipline sportive non riconosciute dal Coni e che ne posseggano i requisiti previsti dall’articolo 6 D.Lgs. 36/2021.
Tra le altre novità degne di nota, si segnala:
Viene modificata, infine, la procedura per l’ottenimento della personalità giuridica tramite il Registro introducendo l’obbligo di un patrimonio minimo pari a euro 10.000.
17/07/2023 di Guido Martinelli
Il testo di conversione con modifiche del DL 51/2023 (c.d. “Decreto Enti Pubblici” è legge (GU n.155 del 05-07-2023).
Il nuovo art. 4 comma 2-bis lettera b) D.L. 51/2023, posticipa (ulteriormente) l’operatività dell’art. 5 comma 15 quater D.L. 146/2021 smi, della nuova disciplina I.V.A. degli enti non commerciali (l’operatività iniziale prevista al 1 Gennaio 2024 viene oggi differita al 1 Luglio 2024 dalla novella).
Questo significa che fino al 1 Luglio 2024 le Associazioni Sportive Dilettantistiche ed in generale le categorie di Associazioni elencate nell’art. 4 comma 4 DPR 633/1972, potranno continuare a beneficiare del regime di esclusione tout court (sanzionato dall’Unione Europea) di tutte le prestazioni rese in conformità ai propri fini istituzionali, dietro corrispettivo specifico, verso i propri associati/tesserati/soci o partecipanti, anche se di altre associazioni che facciano parte di un’unica organizzazione nazionale.
La novella, dunque, posticipa la rivoluzione ai fini IVA e con essa tutte le problematiche collegate… sperando che nelle more pervengano i chiarimenti alle numerose perplessità che nasceranno con l’applicazione pratica del novellato art. 10 DPR 633/1972.
12/07/2023 di Guido Martinelli
L’Agenzia delle Entrate (interpello 4 luglio 2023 n. 333) chiarisce il tema della legittimazione alla vidimazione dei registri dei volontari degli Enti Terzo Settore (art. 17 D.Lgs. 117/2017 ed art. 3 del decreto del Ministero dello Sviluppo economico 6 ottobre 2021) in relazione all’obbligo di tenuta del registro dei volontari non occasionali, con pagine numerate e bollate progressivamente da un notaio o da un pubblico ufficiale.
Premesso che alla vidimazione può in ogni caso procedere il Segretario Comunale, il quale rientra nella definizione di ”pubblico ufficiale” (nota prot. n. 12675 del 14 settembre 2022 del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali), l’Ufficio riconosce, ai sensi e per gli effetti dell’art. 82 D.Lgs. 117/2017 rubricato ”Disposizioni in materia di imposte indirette e tributi locali”, il beneficio dell’esenzione dall’imposta di bollo per la relativa domanda di vidimazione del registro stesso, in quanto documento riconducibile ad «ogni altro documento cartaceo o informatico in qualunque modo denominato posti in essere o richiesti» da Enti del Terzo Settore, dunque riconducibile all’art. 82 comma 1 D.Lgs. 117/2017.
11/07/2023 di Guido Martinelli
Proseguiamo con l’analisi dei lavoratori sportivi tipizzati dall’art. 25 del d.lgs. n. 36/21.
Il preparatore atletico
E’ una delle figure di lavoratore sportivo mutuate dalla abrogata legge n. 91/81. Non è di facile individuazione in quanto la maggior parte di enti affilianti non ha, tra le proprie figure di tesserati, quella di preparatore atletico.
Ne deriva che il tesseramento, che ricordiamo essere obbligatorio per i lavoratori sportivi, dovrà essere necessariamente di natura tecnica (allenatore o istruttore). Ci si chiede anche se il preparatore atletico, per l’attività svolta, oltre ad essere un tecnico della disciplina praticata debba essere, per la funzione svolta, anche un chinesiologo. Alcun dato normativo porta a questa conclusione anche se, a nostro avviso, sarebbe auspicabile che così fosse.
Il direttore di gara
Rientrano in questa categoria tutti coloro i quali sono preposti al controllo, misurazione e verifica dello svolgimento di una manifestazione sportiva, indipendentemente dalla qualifica posseduta. Ossia vi rientrano arbitri, ufficiali di gara, giudici di sedia, cronometristi, giudici di linea, addetti al referto, ecc, purchè appunto tesserati e in possesso della abilitazione allo svolgimento di detta attività da parte dell’organismo affiliante di appartenenza.
Non vi rientrano quei dirigenti che, occasionalmente, svolgono dette funzioni per mancato arrivo o designazione del direttore di gara
Gli altri lavoratori sportivi
Fino al 30 giugno 2023, sia pure, come è noto, in difformità dell’insegnamento della Cassazione, la circolare n. 1/16 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro stabiliva che potevano essere ricompresi tra i soggetti esercenti attività sportiva dilettantistica (e, quindi, come tali, a cui poteva applicarsi la disciplina dei redditi diversi di cui all’ar.t 67 primo comma lett. m del Tuir) tutti coloro i quali svolgevano:
“ ….. mansioni rientranti, sulla base dei regolamenti e delle indicazioni fornite dalle singole federazioni, tra quelle necessarie per lo svolgimento delle attività sportivo-dilettantistiche, così come regolamentate dalle singole federazioni.”
Non vi era dubbio che l’espresso riferimento alle indicazioni fornite dalle singole federazioni legittimava queste, come era avvenuto, a pubblicare delibere di soggetti “autorizzati” al ricevimento di questi compensi. Ma dal primo luglio non è più così.
Il testo dell’art. 25 del d. lgs. n. 36/21 per come novellato dal secondo decreto correttivo approvato in prima lettura dal Consiglio dei Ministri recita nella parte di nostro interesse:
“E’ lavoratore sportivo ogni altro tesserato ai sensi dell’art. 15 che svolge verso un corrispettivo le mansioni rientranti sulla base dei regolamenti tecnici dei singoli enti affilianti tra quelle necessarie per lo svolgimento di attività sportiva“
Quindi:
1) non si fa più alcun riferimento alle indicazioni delle federazioni
2) il soggetto deve essere tesserato e deve avere una tessera collegata alla mansione svolta
3) la mansione deve essere non solo ricompresa in un regolamento tecnico di una disciplina sportiva riconosciuta dal Coni ma deve essere anche “necessaria” allo svolgimento dell’attività sportiva.
Ne deriva, quindi, che nessun legittimo affidamento si potrà dare alle delibere delle Federazioni e degli enti che hanno in questi giorni emanato in tal senso, almeno in tutti i casi in cui non vi fosse un articolo del regolamento tecnico (che ricordo ha uno specifico iter di approvazione) che espressamente prevede quella funzione e se non si dimostrasse la necessità della funzione (come esempio positivo mi viene ad esempio in mente chi sistema le boe del campo di regata nella vela) ai fini della competizione agonistica
In assenza di tale stretto collegamento il lavoratore non potrà essere considerato lavoratore sportivo e in sede di accertamento saranno recuperate le imposte e i contributi non versati a seguito della erronea classificazione come lavoratore sportivo.
Ovviamente potranno invece regolarmente essere considerati lavoratori sportivi i soggetti che presentano i requisiti sopra descritti anche in assenza di delibera dell’organismo affiliante o comunque di citazione all’interno di questa.
Si ricorda, invece, che non rientrano tra i lavoratori sportivi i collaboratori amministrativi gestionali inquadrati come collaboratori coordinati e continuativi.
Ne consegue che i loro adempimenti lavoro non potranno essere eseguiti attraverso le funzioni del Registra nazionale delle attività sportive dilettantistiche, non godranno della presunzione di cococo per rapporti di durata inferiore al minimo indicato dal decreto legislativo n. 36/21 e si applicherà loro l’aliquota ordinaria prevista per i cococo (anche se fino al 31.12.2027 potranno calcolarla sul 50 per cento del compenso).
di Guido Martinelli e Francesco Scrivano
11/07/2023 di Guido Martinelli
Una delle maggiori novità collegate alla entrata in vigore del nuovo articolo 25, D.Lgs. 36/2021 sul lavoro sportivo è dato dall’elencazione tassativa delle qualifiche dei soggetti che potranno essere ritenuti lavoratori sportivi e, come tali, soggetti alla nuova disciplina prevista dal legislatore.
Il presupposto per tutte le figure è che l’attività sia svolta a titolo oneroso.
Non sono invece lavoratori sportivi i tesserati “volontari” che percepiscono esclusivamente il rimborso delle spese vive sostenute per l’effettuazione dell’incarico nonché, per atleti, allenatori e istruttori i premi unilateralmente determinati dalla Federazione o dal sodalizio sportivo per il quale sono tesserati.
Atleta
È sicuramente la qualifica che offre le minori difficoltà all’interprete. Sono da considerare tali tutti i soggetti tesserati all’organismo affiliante in qualità di atleta/giocatore e svolgono tale attività a titolo oneroso.
Allenatore
Sono tali coloro i quali, però, oltre che essere tesserati, siano anche “abilitati” dall’organismo affiliante a seguire le attività agonistiche degli atleti tesserati.
Istruttore
In assenza di una definizione legislativa, si ritiene che debbano essere considerati tali i tesserati “abilitati” dall’organismo affiliante a svolgere attività formativa per la disciplina sportiva praticata. Si pone il problema se possa essere ugualmente riconosciuto il titolo conseguito da diverso organismo sportivo riconosciuto dal Coni rispetto a quello affiliante.
Il tema è il tesseramento.
Se l’organismo affiliante tessera come istruttore un soggetto che ha conseguito il brevetto da altro ente nulla osta, in assenza di tesseramento si ritiene che il mero possesso di brevetto rilasciato da altro ente non consenta il consolidarsi di una prestazione di lavoro sportivo.
Direttore tecnico
È la prima, delle figure indicate all’articolo 25, di cui viene, all’articolo 2, riportata la definizione.
Sono tali coloro i quali: “curano l’attività concernente l’individuazione degli indirizzi tecnici di una società sportiva, sovraintendono alla loro attuazione e coordinano le attività degli allenatori a cui è affidata la conduzione tecnica delle squadre delle società sportive”.
Dalla lettura della declaratoria si ritiene che il direttore tecnico, per essere considerato tale, dovrà essere tesserato per l’organismo affiliante e avere brevetto per allenare la squadra che partecipa al campionato di maggior livello del sodalizio sportivo contraente.
Attenzione perché la presenza del direttore tecnico potrebbe porre in condizione di eterodirezione (e quindi subordinazione) gli allenatori alle “sue dipendenze”.
Direttore sportivo
È la seconda figura normata dall’articolo 2. È tale colui: “che cura l’assetto organizzativo e amministrativo di una società sportiva con particolare riferimento alla gestione dei rapporti fra società, atleti e allenatori, nonché la conduzione di trattative con altre società sportive aventi ad oggetti il trasferimento di atleti, la stipulazione delle cessioni dei contratti e il tesseramento”.
Questa è una figura abbastanza problematica.
In primis perché la maggior parte delle Federazioni non ha un tesseramento specifico per la figura del direttore sportivo, (sarà comunque necessario un tesseramento almeno come dirigente sociale) anche perché non esiste una formazione specifica per tale ruolo se non quella, comunque, non in esclusiva del c.d. “manager dello sport”, intendendo come tale il soggetto in possesso della laurea magistrale in organizzazione e gestione dei servizi per lo sport e le attività motorie (classe LM-47).
Infine, perché molte delle attività indicate sono svolte da soggetti che all’interno del sodalizio sportivo hanno qualifiche diverse quali segretario generale o general manager.
Si pone pertanto un problema: se le attività sopra riportate sono svolte a titolo oneroso da soggetto che non possiede, formalmente, la qualifica di direttore sportivo, potrà essere ritenuto de facto lavoratore sportivo?
A mio avviso (ma appare opportuno sul punto attendere chiarimenti ufficiali) la risposta è positiva, prevalendo l’aspetto operativo delle funzioni rispetto alla qualifica formale, resta però un margine di dubbio che sarebbe opportuno venisse chiarito in una FAQ o in una circolare della Pubblica Amministrazione.
Inoltre queste funzioni si sovrappongono a quelle “classicamente” assegnate ai collaboratori amministrativo – gestionali.
Non possiamo dimenticare come la disciplina del direttore sportivo sia molto più favorevole di quella del collaboratore.
Nel suo caso diventano applicabili le semplificazioni delle funzioni lavoro previste con il registro delle attività sportive:
tutte agevolazioni, queste, non applicabili alle collaborazioni amministrativo gestionali.
di Guido Martinelli e Francesco Scrivano
28/04/2023 di Guido Martinelli
La riforma del lavoro sportivo che entrerà in vigore il prossimo 1° luglio porta la novità dell’ingresso, nel mondo dello sport dilettantistico, delle tutele assistenziali.
Proseguiamo l’indagine iniziata con il precedente contributo.
L’Assegno Unico ed Universale è stato istituito ai sensi dell’articolo 1 D.Lgs. 230/2021, sostituendo, dal 1° marzo 2022, l’Assegno per il Nucleo Familiare, che è stato così abrogato.
Infatti, è previsto che “limitatamente ai nuclei familiari con figli e orfanili, a decorrere dal 1° marzo 2022, cessano di essere riconosciute le prestazioni di cui all’articolo 2 del decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69 convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 1988, n. 153”.
La domanda deve essere presentata telematicamente, in riferimento all’anno per cui si ha diritto, a partire dal 1° febbraio dell’anno successivo.
Il nucleo familiare, ai fini della determinazione del valore dell’Assegno Unico, può essere così composto:
La DIS-COLL è l’indennità corrisposta ai collaboratori che, involontariamente, hanno perso lo stato di occupazione e che sono iscritti in via esclusiva alla Gestione Separata presso l’Inps.
Essa può avere una decorrenza:
La DIS-COLL è corrisposta con cadenza mensile per un numero di mesi pari ai mesi di contribuzione accreditati nel periodo intercorrente tra il 1° gennaio dell’anno precedente l’evento di cessazione del lavoro e il predetto evento.
In ogni caso, la prestazione può essere corrisposta per una durata massima di 12 mesi.
Nel caso di collaborazione coordinata e continuativa, viene preso a riferimento il reddito dei suddetti 12 mesi risultante dai versamenti contributivi riferiti al lavoratore interessato, sulla base della dichiarazione del committente.
Ai fini della durata non sono computati i periodi contributivi che hanno già dato luogo ad erogazione di DIS-COLL.
Per i periodi di fruizione dell’indennità è riconosciuta la contribuzione figurativa rapportata al reddito medio mensile degli ultimi quattro anni, entro un limite di retribuzione pari a 1,4 volte l’importo massimo mensile della DIS-COLL per l’anno in corso.
Il valore dell’indennità mensile corrisposta è pari al 75% del reddito medio mensile, che deve essere in ogni caso rapportato ad un valore di riferimento stabilito annualmente dall’Ente.
Il valore dell’erogazione mensile non può comunque essere superiore alla soglia massima stabilita annualmente dall’Inps (per il 2022 è pari a 1.360,77 euro).
A partire dal sesto mese di fruizione, l’indennità DIS-COLL si riduce ogni mese nella misura del 3%.
Si precisa che, al contrario di quanto previsto per i lavoratori dipendenti, per i collaboratori non trova applicazione il cosiddetto principio di automaticità delle prestazioni (articolo 2116 cod. civ.), il quale prevede che l’ente previdenziale riconosca le proprie prestazioni anche laddove si verifichi una scopertura contributiva da parte del datore di lavoro, per evasione od omissione contributiva: le indennità riconosciute dall’istituto in favore dei co.co.co. sono corrisposte soltanto laddove il versamento dei contributi sia avvenuto con regolarità.
Trova eccezione a quanto sopra soltanto il trattamento di maternità/paternità per i collaboratori.
Si pone, infine, il tema della possibile convivenza di più rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, ove solo uno di questi sia di lavoro sportivo.
Sarà sicuramente necessario, in questo caso, che la prassi amministrativa chiarisca, in presenza di questa situazione, come potranno convivere i due rapporti.
Ove la molteplicità di rapporti sia di natura sportiva si ritiene che debba essere fatta una ulteriore distinzione.
Sicuramente si ritiene compatibile un rapporto di co.co.co. amministrativo-gestionale con uno di lavoro sportivo.
Il dubbio che permane diventa solo se, in questo caso, per entrambi i rapporti si possa godere delle fasce esenti di 5.000 (ai fini previdenziali) e 15.000 (ai fini fiscali).
Tendenzialmente la risposta appare positiva ma anche per tale tema un chiarimento amministrativo appare opportuno.
Nel caso in cui, invece, i rapporti siano entrambi (o più) tutti di natura amministrativo-gestionale o di lavoro sportivo si ritiene che si ricada nell’esercizio di arti o professioni e, pertanto, necessiterà aprire la partita Iva.
di Guido Martinelli e Matilde Ambrosi
18/04/2023 di Guido Martinelli
Il D.Lgs.36/2021, per quanto riguarda la riforma del lavoro sportivo dilettantistico, pone grande attenzione alla fattispecie del lavoro autonomo posto in essere nella forma della collaborazione coordinata e continuativa.
Sia prevedendo la presunzione relativa di tale inquadramento, per le prestazioni di lavoro sportivo dilettantistico di durata inferiore alle 18 ore settimanali (articolo 28, comma 2, D.Lgs. 36/2021), sia confermando la figura delle co.co.co. “amministrativo-gestionali” già presenti nella abrogata disciplina dei compensi di cui all’articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir (articolo 37 D.Lgs. 36/2021)
Questo ponendosi in continuità con scelte passate quali, ad esempio, la confermata non applicabilità della disciplina del rapporto di lavoro subordinato alle collaborazioni sportive “che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente” in virtù della deroga prevista per le associazioni e società sportive dilettantistiche dalla lettera d) dell’articolo 2, comma 2, D.Lgs. 81/2015.
Per suddetta categoria, sia per le figure dei lavoratori sportivi che degli amministrativo-gestionali, è previsto l’obbligo di iscrizione agli Enti Inps ed Inail, nello specifico i contributi previdenziali saranno versati in gestione separata Inps, nella misura di un terzo dell’importo a carico del collaboratore e di due terzi a carico del committente, il quale provvederà al pagamento di entrambe le quote in qualità di sostituto d’imposta.
Si specifica che il trattamento previdenziale previsto per i co.co.co amministrativo-gestionale vale anche per le co.co.co sportive, in quanto per entrambe le categorie sorge al superamento della soglia di euro 5.000,00 l’obbligo di versamento dei contributi in Gestione separata Inps.
L’unica differenza tra le due fattispecie è quella che, nel caso degli amministrativo-gestionali, non trova applicazione la presunzione di co.co.co. per le prestazioni di durata inferiore alle 18 ore.
Mentre nella gestione ordinaria Inps il criterio di anzianità è rapportato alle settimane contributive, l’anzianità contributiva in Gestione Separata si basa su minimali annui, determinati ogni anno dall’Ente di riferimento.
Per il 2023 il minimale stabilito da versare, per considerare un’intera annualità valida ai fini contributivi è pari ad euro 17.504,00.
Tale valore non è condizione minima necessaria per vedersi riconosciuti i trattamenti, ma rappresenta l’importo minimo indicativo per vedersi riconosciuto l’equivalente di un anno completo di contributi (pari a 52 settimane in regime ordinario).
Ne deriva che, se per ipotesi il reddito di riferimento fosse la metà del minimale, il collaboratore non si vede accreditato un anno di contributi, bensì un semestre.
Va ricordato, poi, che ai sensi di quanto previsto dal comma 8-ter dell’articolo 35 D.Lgs. 36/2021, fino al 31 dicembre 2027 la contribuzione per i lavoratori sportivi è dovuta nei limiti del 50 per cento dell’imponibile contributivo con equivalente riduzione dell’imponibile pensionistico.
Sulla base dell’imponibile previdenziale annuo di ciascun collaboratore e dell’equivalente in termini di anzianità contributiva, saranno poi determinati i singoli importi delle indennità.
Al superamento della soglia di compensi disciplinata dall’articolo 8 bis del decreto in esame (euro 5.000) per i co.co.co. che non siano già iscritti ad altro titolo ad una gestione previdenziale, è prevista l’applicazione di un’aliquota pari al 27,03% suddivisa come di seguito:
L’indennità di malattia è riconosciuta a partire dal 4° giorno di prognosi e per massimo di un sesto della durata complessiva del rapporto di lavoro, nel limite massimo di 61 giorni (circolare Inps n. 76 del 16.04.2007).
Il valore del trattamento economico è determinato nella misura dell’8%, 12% e 16% dell’importo che si ottiene dividendo per 365 il massimale contributivo previsto nell’anno di inizio della malattia, sulla base della contribuzione attribuita nei 12 mesi precedenti la malattia (da uno a quattro mesi l’8%, da cinque a otto mesi il 12% e da nove a 12 mesi il 16%).
Per quanto concerne il trattamento di maternità/paternità, nel corso del periodo indennizzabile, la/il collaboratrice/collaboratore ha diritto a percepire un’indennità pari all’80% di 1/365 del reddito derivante da attività di collaborazione coordinata e continuativa, utile ai fini contributivi, vale a dire nei limiti del massimale annualmente previsto.
Per le/i lavoratrici/lavoratori iscritte esclusivamente alla Gestione Separata Inps, il diritto al trattamento spetta se nei dodici mesi precedenti il mese di inizio del periodo indennizzabile di maternità/paternità, risulta effettivamente accreditato o dovuto alla Gestione separata almeno un contributo mensile.
La decorrenza e la durata del trattamento avvengono nelle forme e con le modalità previste per il lavoro dipendente: pertanto iniziando due mesi prima della data presunta del parto e concludendosi tre mesi dopo la data effettiva del parto.
Alternativamente, dal mese prima della data presunta del parto, purché la prosecuzione dell’attività lavorativa durante l’ottavo mese di gestazione non arrechi pregiudizio alla salute della lavoratrice o del nascituro (certificata dal medico) e per i 4 mesi successivi alla data del parto.
di Guido Martinelli e Matilde Ambrosi